Almeno un po’, almeno “in classe”, almeno nella nostra scuola

Metto la sveglia, mi alzo. Bevo un orzo caffè… ho sempre odiato solo il caffè.
Leggo il “bollettino di guerra”, scende una lacrima.
#andràtuttobene, vacillo un po’.
Mi assale la paura, tanto #iorestoacasa…
Posso cadere nello sconforto, mio marito è comunque al lavoro, i bambini ancora dormono.
Posso dimostrarmi sensibile e fragile a me stessa.
Mi lavo, metto il profumo, respiro profondamente, accendo il computer.
Si aprono 3 pagine, Spaggiari, Meet, Classroom.
Sono a posto. Ce la devo fare, anche oggi.
Il mio alunno un po’ più debole mi ha detto:”Professoré, è sempre piacevole la sua lezione, noi la aspettiamo davvero”.
Ho oscurato la telecamera, sono uscita un attimo, ero senza respiro, e non era il Coronavirus, davvero io come tanti miei colleghi in Italia, “serviamo” a loro, a farli alzare, a farli parlare, ad impegnarli ad ascoltare, a darci un appuntamento che si chiama “domani”.
E li conto tutti, e chiedo ai presenti notizie degli assenti, ed interrogo, assegno compiti, faccio finta che sia tutto normale.
Almeno un po’, almeno in “classe”, almeno nella nostra scuola.
E li invito a fare come me…
Poche righe, un video, una foto, un tweet,
#marzollaleosimonedurano, il Liceo va avanti, noi con lui, la vita con noi.

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