Incontro con l’autore: Giulia Benisuglio

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Giorgia Benusiglio, autrice del libro autobiografico “Vuoi trasgredire? Non farti”è stata ospite del Liceo Classico Marzolla nella giornata di venerdì 8 aprile a conclusione del percorso di approfondimento sulle forme del disagio giovanile promosso d alla scuola nelle “giornate dello studente”. Che la vita sia più forte te ne accorgi guardando questa figura esile e dritta, questa giovane donna dallo sguardo di chi ha vissuto mille anni. Pomeriggio d’aprile capriccioso,un centinaio di studenti, un auditorium. Giorgia Benusiglio non fa conferenze, non usa strategie particolari, semplicemente racconta. Di sé, prima di quella “mezza pasticca”, (la danza, gli amici, la scuola) il devastante dopo (trapianto, recupero fisico e psicologico), la rinascita (il sostegno dei genitori , lo studio, la laurea, la decisione di condividere il vissuto) . Non è certo facile mettersi a nudo come fa lei , nell’ammissione di sensi di colpa , difficoltà a perdonarsi, sensazione di aver rubato a se stessa e agli altri e tanta rabbia. Perché “io ero sana ed ora mi ritrovo paziente a vita”, perché “ho moltissime limitazioni” e “sono in costante pericolo” perché “ho sofferto io e ho fatto soffrire”. La banalità di un gesto,- che sarà poi calarsi di una (mezza) pasticca?- il sentimento di illusoria onnipotenza nel credere di controllare, gestire, misurare, superare, la curiosità /gusto di “provare”, ergo trasgredire, hanno prodotto conseguenze a catena che segnano per la vita e Giorgia lo sa, e dispensa questa sua consapevolezza in modo originale. Non si è trasformata in una pasionaria, non predica né tantomeno inveisce o condanna, descrive persino i dettagli, lucidamente ripercorre momenti , situazioni, stati d’animo e così facendo ti “attira” nella sua vicenda e ti fa comprendere su quale campo di battaglia la vita ha fortunatamente piantato il suo vessillo vittorioso, quello del suo corpo lacerato, come la sua identità. I ragazzi attorno non la ascoltano solo ma “diventano” lei , tanta è la tensione emotiva che li attraversa e anche Giorgia si riconosce in loro, a 17 anni di distanza dall’inizio di tutto. E’ come se leggesse pieghe nei loro sguardi che gli adulti spesso non riescono a cogliere, o perché non sanno indagare o perché da quegli stessi occhi sono messi in fuga , ombre che si traducono in sfoghi sulla sua pagina facebook, che parlano dialetti diversi di un disagio comune, cui non si sa dare nome ma di cui si conosce perfettamente la capacità di far male. Giorgia ha infranto lo specchio del falso star bene, della felicità fuori dalla vita reale, anzi vi è stata scagliata contro; ha provato su di sé qualcosa di molto più profondo e forte dello sballo che cercava, solo una volta, per caso : il dolore vero che non ti fa respirare, quello che le ha fatto desiderare di poter tornare indietro , che l’ha disintegrata e poi, gradualmente, ricostruita. Giorgia, restituita alla vita come un personaggio di un dramma antico, che “attraverso la sofferenza impara”. Agli studenti prospetta il momento cruciale, quello della scelta di trasgredire o no. Li invita a chiedersi, sapendo quello che a lei è accaduto, se si sentono pronti ad affrontarne tutte le conseguenze e a questo punto una ragazza in prima fila, una macchia di colore nell’ambiente a tinte neutre, si erge a “coscienza” di tutti e corregge l’ospite. Non è quella la domanda da farsi, dice con una singolare solennità, perché “noi ragazzi ci sentiamo invincibili ed inevitabilmente diremmo sì, a questa e ad altre sfide. Invece dobbiamo domandarci se ne valga la pena, per questo brivido, di distruggere ciò che siamo, ciò che abbiamo “. Poi tante domande , alcune personalissime e impegnative, altrettante risposte Giorgia dà seduta al centro della sala . Protetta dalla forza della sua verità , da quel pezzo di un’altra “vittima” , Alessandra, (donatrice del suo fegato)che si porta dentro e dall’amore . Quello del padre che, nei giorni peggiori, aveva affidato ad una lettera la sua “impotenza” poi trasformata in impegno e sostegno non solo ad una figlia così “speciale” ma ad altri figli ed altri padri che si chiedono se o in cosa abbiano sbagliato; del fidanzato; di questi giovani compagni di viaggio che le si stringono addosso a conclusione dell’incontro e , senza parole, dimostrano di aver capito. Ne parleranno a lungo e appassionatamente con gli amici presenti, con chi non c’era, con i genitori, con noi docenti, si immergeranno nella lettura del libro. Per una volta nessun gap generazionale, nessun pregiudizio, nessuna barriera. La speranza passa anche da qua.

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