Il sogno

Il sogno

Era un grosso paese. Vi erano mari, colline, fiumi, montagne, spiagge e pianure. La gente viveva
modestamente; tra loro, anche Chiara. Dopo scuola, dopo il calcio, si era accorta di essere talmente stanca
che si addormentò. Era quasi primavera e la calura estiva si faceva strada tra le nuvole e tra le fronde; stava
per arrivare e bussare alle finestre, stava per entrare nelle case a portare il giallo e l’arancio alla gente.
Mancavano pochi mesi, poi sarebbe arrivata. Chiara pensava a quando, ad aprile, avrebbe partecipato alla
gara di calcio lontana dal suo paese e a quando, a luglio, sarebbe andata a trovare i nonni. Chiara stava bene
e, cullata dai pensieri e dai progetti, riposava. Le prime giornate di sole erano dolci, seppur ancora acerbe e
timide. Chiara, quel pomeriggio, si svegliò. Avrebbe voluto alzarsi dal letto per andare al cinema. Oppure
andare al bar, o dal suo amico, quello del cuore. Ma non poteva. Chiara scoprì che, nel suo paese, era
arrivato un mostro. Chiara scoprì che il mostro aveva il super potere dell’invisibilità. Chiara ascoltava il
mondo che parlava del mostro e non poteva crederci. Il mostro era forte, sapeva anche dividersi: restava in
un paese ma, contemporaneamente, poteva arrivare altrove. Tutti avevano paura di incontrarlo ma nessuno
lo aveva visto, eppure qualcuno sì, ed era per questo che Chiara non poteva andare al cinema, al bar, o dal
suo amico: Chiara non doveva incontrarlo. Il paese si riempì di altoparlanti per ricordare alla gente che non
era il momento migliore per andare al cinema, oppure al bar, o dagli amici. E Chiara non aveva fatto in
tempo a fare tutto prima che il mostro arrivasse. Il mostro aveva tolto la libertà di uscire, di correre o di stare
con gli altri. Soprattutto, il mostro era solo, così solo e così odiato. Il mostro, per vendetta, aveva cancellato
gli abbracci e i baci, le carezze e i sorrisi col suo passaggio brusco e rozzo fra le strade. Chiara, da casa,
continuava a vivere e a pensare che ad aprile sarebbe andata alla sua gara, e che a luglio avrebbe rivisto i
nonni. Chiara, insieme alla sua gente, e insieme alla gente della sua gente, non si arrendeva al mostro. E il
mostro bastardo si sentiva ancora più solo. Il mostro sapeva che scomparire non avrebbe cambiato nulla nella
sua vita, ma neanche restare in quei paesi avrebbe cambiato qualcosa. Allora un giorno, prima che le luci
inondassero il paese, alzò le sue braccia trasparenti, mosse le sue gambe e, con una leggera rincorsa, salì in
cielo e volò via. La mattina dopo nessuno riusciva più a sentirlo e fu un sollievo. Allora Chiara, alle prime
luci dell’alba, si svegliò. Chiara rise. Dopo scuola, dopo il calcio, si era accorta di essere talmente stanca che
si addormentò. Chiara aveva dormito per tutto il pomeriggio e per tutta la notte, fino all’alba. Aveva sognato
un incubo, un mostro, anche se lei ai mostri non aveva mai creduto e, affacciandosi alla finestra, s’accorse
che il suo paese era troppo colorato per poter essere rovinato da un mostro trasparente. La primavera era
arrivata, la calura estiva anche. Chiara, stropicciandosi gli occhi, rise. Era l’alba di un nuovo giorno.
Erica Russo, III^B

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