Progetto “Treno della memoria” – le impressioni dei nostri ragazzi

DAL TRENO DELLA MEMORIA:  .
BARDICCHIA JOSEPHINE 4D QUADRIENNALE
Credo che questa esperienza sia talmente grande ed immensa a livello di mole emotiva e concettuale che difficilmente la si può maneggiare con le parole.
Una delle frasi che più mi hanno segnato in questi giorni è stata: “Senza il silenzio non si può ricordare ed è per questo che quando siamo in un posto importante, a livello umano ed emotivo, tendiamo ad assumere un atteggiamento di rispettosa quiete e silenzio”
Perché alla fine, cosa si può dire in questi casi?
Oltre ad annuire, guardare e specialmente ascoltare, ho imparato che in questi contesti si può fare ben poco
perché per quanto io possa impegnarmi a trovare il modo meglio articolato per parlare con le frasi più complesse, queste alla fine perderanno valenza e imponenza una volta poste innanzi a tali documenti, luoghi, disegni e scuri colori.
Ma non solo i campi in sé, i memoriali o i quartieri che urlano storia nel loro silenzio importante,
anche le città stesse:
Berlino ha perso tutti i suoi colori e nella sua bellezza sembra sottolineare al cielo quanto sia distrutta e stia ancora cercando di rinascere, quanto sia forte nelle sue macerie che ora fioriscono.
BENEDETTA RIZZO
VB LICEO CLASSICO
“MARZOLLA”
Per quanto non sia facile testimoniare quanto visto e provato all’interno dei campi, posso dire che la sensazione che mi ha accompagnata durante tutta la visita è stata una sensazione di vuoto, un vuoto che ti scava dentro, nell’anima, quasi inspiegabile.
Un passo dopo l’altro: cosi mi facevo forza e cercavo di proseguire la visita, nonostante mi sentissi completamente dissociata da me stessa e incapace di controllare il mio corpo.
Ma il sentimento più grande che ho potuto provare è stato un terribile senso di colpa, che mi ha assalita alla fine della visita, un terribile senso di colpa per aver trascinato il mio corpo, un passo dopo l’altro, dove milioni di persone sono morte.
“È un enorme cimitero senza lapidi”
“Guarda qui l’erba com’è verde. Guarda qui invece come tutto è arido. Sai perché l’erba è verde? Perché le ceneri disparse hanno reso il terreno più fertile”. Frasi che mi hanno lacerato il cuore, perché sul momento, non viene in mente un simile pensiero, ma se ci si ferma e si riflette, ci si rende conto di quanto queste siano veritiere.
Abbiamo osato camminare sui corpi di milioni di persone, sulle loro vite schiacciate da una tale malvagità. Abbiamo osato costruire servizi, abbiamo reso i campi una vera e propria attrazione.
Come si può, ora, non essere pervasi da un irrefrenabile senso di colpa?
Ma l’accusa maggiore che può essere posta è: come si può pensare che tutto questo sia stato esclusivamente una finzione o addirittura come la gente ha potuto fingere che tutto questo non stesse accadendo?
Perché i campi erano circondati da case abitate e la gente in realtà sapeva, ma ignorava.
Per questo il compito che abbiamo noi, partecipanti al progetto “Treno della memoria” e non solo, testimoni oculari di tali malvagità e non solo, è cercare di eliminare tale indifferenza, raccontando ciò che è stato, portando la nostra esperienza al mondo, a partire da chi ci sta accanto, facendo capire che il passato non è poi cosi distante dalla vita di tutti i giorni
ERICA RUSSO
VB LICEO CLASSICO “MARZOLLA”
Attraversando le strette strade e osservando i nuovi paesaggi a cui i miei occhi non sono abituati, riesco a tracciare il contorno dell’ombra delle nuvole sulle colline. L’abitudine è rassicurante, è comoda come la propria casa, casa in cui si teme di ritornare dopo un viaggio, casa in cui si temeva di non tornare, casa in cui innumerevoli cuori non sono tornati indietro. Cos’è un viaggio, se non un’esperienza, una ricchezza, una nuova sfaccettatura del proprio io? Tornare a casa spaventa, si ha paura che i doni della novità assorbita si affievoliscano, scompaiano. Ma ora, pur consapevole di un timore così spaventoso, sono sicura che le foglie raccolte in questo viaggio abbiano riempito i rami ancora acerbi del mio albero della vita. Ravensbrück, Auschwitz, Birkenau sono tre nomi incisi dentro, anzi milioni di nomi senza numeri. Nomi incalcolabili, nomi che adesso fanno parte del mio. Allora come potrebbero svanire determinate emozioni? Come potrebbero annebbiarsi? Il cammino compiuto ha favorito la mia crescita, e quando si passa da un livello inferiore ad uno superiore nel percorso di formazione, non si può tornare indietro. È questo che ho imparato. Ho imparato ad essere consapevole, a tenermi strette le sensazioni, a non ignorare le priorità e i respiri che mi lasciano proseguire la mia esistenza. Ho imparato ad essere grata, a vivere anche per gli altri, persone a cui sono state recise le ali, ma che comunque volano, ci inseguono in quanto è un loro diritto essere ricordate, era un loro diritto essere libere
DANIELE CANCEMI
VB LICEO CLASSICO
“MARZOLLA”
Studiando il fenomeno delle deportazioni avvenute durante la Seconda Guerra Mondiale, non mi sono mai davvero reso conto delle tante atrocità commesse nei campi di concentramento.
Una volta entrato nel “Blocco 7”, ad Auschwitz, dopo aver visto le foto dei deportati, il loro nome, il loro lavoro, la data di nascita, di deportazione e di morte, ho realizzato che lo sterminio avvenuto in quei luoghi non è affatto così lontano da noi.
Inoltre, sono rimasto colpito dalla modernità di alcune strutture: ho sempre pensato all’Olocausto come a qualcosa di distante, ma ho capito che mi sbagliavo.
SARAH RITA MARRA
VB LICEO CLASSICO
“MARZOLLA”
Prima di intraprendere questo viaggio, tenevo stretta a me la presunzione che più avessi riflettuto, più fossi stata preparata e pronta, meglio avrei potuto comprendere, o quantomeno assimilare, ciò verso cui andavo incontro. Non è stato così.
Auschwitz non dà risposte, Auschwitz non parla, tace. È il raggelante silenzio del suolo arido sotto i piedi, dei fiocchi di neve quasi immobili in aria. Non c’è niente che possa essere detto, niente che possa essere davvero vissuto, ma solo vita che si prende gioco di se stessa. Mi portavo dietro la necessità di piangere, soffrire, eppure più esternavo le mie debolezze, più cresceva in me un senso di inadeguatezza e vergogna nei confronti delle mie stesse lacrime.
Piangere per qualcosa che noi stessi abbiamo creato.
Sarebbe, forse, erroneo definire i campi di sterminio, che hanno abitato, e ancora abitano il mondo, come “surreali”, poiché alla base non vi è nulla che si spinga oltre la dimensione terrena: cioè che al contrario insiste, di agghiacciante, è il suo essere reale, fin troppo. A distanza di anni, il tempo resta relativo: Ravensbruk, Birkenau, Auschwitz e migliaia di altri come loro, non hanno mai smesso di invaderci con la propria, surreale, realtà
AGNESE DE BLASI
Classe VA
Ho scelto di affrontare questo viaggio perché ritengo che osservare in prima persona ciò che è successo sia il punto di partenza per far sì che quanto è accaduto non accada più.
Ammetto di essere partita con un po’ di ansia, perché la meta era lontana e perché sapevo di dover visitare luoghi in cui milioni di persone hanno perso la loro vita, è stato infatti un viaggio stancante sia fisicamente che psicologicamente. Nonostante ciò, consiglierei a tutti di farlo perché permette di comprendere meglio ciò che viene raccontato semplicemente con le parole.
Visitare dal vivo i campi dì concentramento permette di immedesimarsi in tutte quelle persone che purtroppo, da quei campi, non sono più uscite; inoltre l’atmosfera intorno, il vento e la neve che ci hanno accompagnato tra le strade dei campi hanno reso il tutto più realistico. In conclusione, ritengo anche che sia un’ottima occasione per fare nuove amicizie e condividere con i propri coetanei esperienze che sicuramente ci legheranno per sempre

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