Vale la pena rovinarsi la vita per un Rolex Il generale Pellegrini, spalla del giudice Falcone, incontra il Liceo Simone-Durano

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Classe 1942, uno degli uomini di Giovanni Falcone (“la spalla destra o la sinistra, fate voi” ha detto lui), sbarcato in Sicilia nel1981 mentre infuriava la guerra di mafia, mentre le lupare venivano sostituite dai fucili d’assalto di fabbricazione sovietica, e i corleonesi spargevano terrore sotto il Monte Pellegrino, e sulla tratta Palermo-Catania correvano appalti, spregiudicate operazioni immobiliari, mazzette, false fatturazioni miliardarie, industriali collusi, colletti bianchi e rispettabilissimi cavalieri del lavoro. E quando sotto i colpi dei sicari di Cosa Nostra cadevano anche poliziotti, carabinieri, magistrati.
Angiolo Pellegrini, allora capitano dei carabinieri, oggi generale in pensione, ha portato a compimento le più importanti indagini nei confronti di Cosa Nostra, ha raccontato la sua storia di quella stagione insanguinata nel suo libro “Noi, gli uomini di Falcone”.
Gli studenti del Liceo “Simone-Durano” hanno avuto il privilegio di sentir parlare l’ultimo protagonista ancora in vita della guerra, quella vera, alla mafia, quella che ha visto combattere e purtroppo cadere Montana, Chinnìci, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, i cadaveri “eccellenti”, come la stampa di allora li proclamava. E il generale ha ripercorso, con sapienti pennellate, i momenti salienti di quella guerra (il viaggio in Brasile per interrogare Buscetta, la preparazione del maxiprocesso – il più grande dibattimento mai celebrato, quello che avrebbe infranto il mito dell’impunità di Cosa Nostra -, il sodalizio con Cassarà), insieme alla denuncia delle tante zone d’ombra, rendendo giustizia a una stagione tragica e irripetibile, in cui sembrò davvero possibile smantellare Cosa Nostra. L’allora Capitano Pellegrini fu tra gli ultimi a incontrare il Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che gli disse: “sto per disporre l’arresto dei Salvo: Capitano, si tenga pronto”. Pochi giorni dopo Chinnici sarebbe saltato in aria in un attentato in stile libanese che suscitò sgomento a Palermo e in tutta Italia, mentre i giornali titolavano “Palermo come Beirut”. Sì, dice lui, perché anche noi eravamo in guerra. Dopo Chinnici arrivò Caponnetto e l’embrione del pool antimafia prese finalmente corpo. Grazie soprattutto a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino.
Un uomo che, ai programmi e alle ospitate televisive, preferisce gli incontri nelle scuole (a costo zero, anzi, a sue spese) a raccontare di chi ha combattuto la mafia e delle tante vittime. Quando ha cominciato era un giovane capitano, investigatore di razza, soprannominato “Billy the Kid”. Poi capo della Dia a Reggio Calabria, Roma e Palermo. Fu lui coi suoi uomini a preparare il famoso Rapporto dei 162, che poi sfociò nel maxi-processo a Cosa Nostra. E fu sempre lui ad andare più volte in Brasile per raccogliere le prime rivelazioni di Tommaso Buscetta e poi a riportarlo in Italia.
Ha parlato di strateghi militari e sanguinari, ma pur sempre dei “viddhani” (dice lui), degli ignoranti che non possono in nessun modo avere la meglio sulla civiltà. Mai. Ma, ammette, Cosa Nostra non è stata sconfitta. Certamente, l’arresto dei capi è stato vincere delle battaglie importantissime. Ma la guerra ancora non è vinta. E non lo sarà, e questo è il grande insegnamento del Generale, fino a quando ancora qualcuno venderà la sua Libertà per un Rolex, per un favore, per qualunque cosa.
“La Libertà è una cosa bellissima, ragazzi”, dice. E insieme alla Libertà, il valore della Memoria. I giovani devono conoscere per cambiare. Per voltare pagina: “perché sarete voi un giorno a dover decidere, a dover dire no, a dover pensare”.
Un’indimenticabile lezione di Storia, di Vita, di Legalità.

Debora de Fazio
(Foto di Francesca Suma)

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